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MISSION
(THE MISSION)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 11 dicembre 1986
 
di Roland Joffé, con Jeremy Irons, Robert de Niro, Ray McAnally, Aidan Quinn, Liam Neeson (Gran Bretagna, 1986)
 
Il secondo film dell'autore di Urla del silenzio (The killing Fields) vanta non pochi meriti che dovrebbero salvarlo dall'onta cinefilica tramandatagli (definitivamente?) dal fatto di aver "rubato" la Palma d'Oro di Cannes a tre capolavori: Il Sacrificio di Tarkovski, Therese di Cavalier e After hours di Scorsese.

Mission riesce innanzitutto a soddisfare una delle grandi ambizioni del cinema, che è quella di fondere spettacolo e messaggio ideologico; di far giungere ad una vastissima platea un certo tipo di riflessione. Sulla qualità di questa riflessione si potranno emettere dei dubbi: ma il tema sollevato da MISSION (il genocidio degli indiani sudamericani ad opera dei colonizzatori con l'avallo, per ragioni di puro calcolo politico, della Chiesa) è sicuramente più interessante ed originale di quello proposto dal novantanove per cento dei film anglosassoni prodotti attualmente. MISSION è condotto sulla traccia di una sceneggiatura di Robert Bolt: se questa non possiede la logica ed il fascino impeccabile di quella di Lawrence d'Arabia, il lavoro di Roland Joffé è spesso guidato da una grande sensibilità espressiva. Valorizzazione degli ambienti naturali nella prima parte del film; primi piani "antropologici" degli indiani, sequenze della morte ritardata di De Niro ed Irons, e direzione d'attore dei Ray McAnally (il cardinale inviato dal Papa, di gran lunga il personaggio più approfondito - qualcuno dirà il solo... - del film nella seconda.

Ma un film non e fatto soltanto di buone Intenzioni e di belle fotografie. Se dei film sulla violenza nella natura (come La foresta di smeraldo o Apocalypse now ai quali Mission fa spesso pensare) sono grandi e perché rinviano ad una riflessione globale, diciamo pure cosmica. Al contrario di quelli di Boorman o Coppola, magari discutibili ma coerenti nel loro assunto, quello di Joffé è contraddittorio ed ingenuo, oltre che approssimativo in quella che, secondo la documentazione storica, pare fosse la realtà delle cose. Mission e un film ambiguo: e purtroppo non lo è perché riflette un comportamento ambiguo, quello della Chiesa. Non lo è nemmeno perché racconta la storia di una cattiva coscienza. Ma perché confonde molti problemi, primo fra tutti quello che il genocidio, prima di essere fisico e stato culturale. In altre parole: siamo ben sicuri che i buoni selvaggi dipinti nel film mentre intonano cantici religiosi, avessero veramente bisogno dei volenterosi gesuiti per essere salvati dal loro invidiabile stato di beatitudine? Che gli autori fossero in altri pensieri affaccendati lo prova questa dichiarazione di Joffé: "I dubbi del parratore (del cardinale, cioè) non sono sostanzialmente differenti da quelli che provano certi comunisti nei confronti di certe decisioni del loro partito, in occasione di determinati avvenimenti internazionali. Spero che il pubblico possa constatare quanto i gesuiti possono essere paragonati ai comunisti... "

Pur senza voler pescare nel torbido del pasticcio ideologico è facile constatare come, in troppe occasioni, i significati del film siano piegati di viva forza, e spesso contro l'evidenza del racconto e delle psicologie, per assecondare i (pii) desideri degli autori. Sono, non facciamone un dramma, i guai del cinema cosiddetto commerciale: Mission ne ha i meriti. E, precisamente, i limiti.


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